7.11.11

Un tipo di cui voglio parlarvi

Nel lontano ovest conoscevo un tipo. Un tipo di cui voglio parlarvi. Il suo nome era Kurt Vonnegut, o almeno così lo avevano chiamato gli amorevoli genitori.
Lo conobbi in un angolo polveroso di una libreria, incuriosito più che altro dal fatto che venisse citato come fonte di ispirazione da più di uno dei miei autori satirici preferiti.
Fu amore a prima vista (prima lettura)? Decisamente no.
Scriveva in maniera talmente semplice da risultare quasi scolastica, a primo impatto. Mi ero già imbattuto in talmente tanti autori contorti che uno stile del genere non poteva soddisfarmi. E soprattutto "non faceva ridere". Shock tremendo, dato che era il punto di riferimento, tra gli altri, dell'antipatico ma efficacissimo David Letterman.
Poi, col tempo, mi resi conto che i geni comunicano attraverso diverse chiavi di lettura.
Vonnegut non aveva bisogno di toni eclatanti.
Riflessioni amare, caricature paradossali, invettive corrosive ma mai "urlate", sono le armi che si nascondono dentro le sue storie lineari e dirette.
"Ghiaccio 9", "Mattatoio n.5", "Galapagos", "Dio la benedica signor Rosewater" dovrebbero diventare oggetto di studio nelle scuole.

Vonnegut è morto da qualche anno. E Fabio Volo è ancora vivo.
La probabilità che anche solo uno dei lettori di questo post corra a setacciare le biblioteche del circondario per accaparrarsi un paio delle sue opere è pari a quella che io domattina mi svegli abbracciato ad un cane con la mononucleosi. Quindi molto elevata (scusate se insisto con questa storia, ma purtroppo mi capita sovente). Ho molta fiducia nei lettori del Guazzetto. Non deludetemi. O perlomeno uccidete Fabio Volo.

"Dite quel che volete del sublime miracolo di una fede senza dubbi, ma io continuerò a ritenerla una cosa spaventosa e vile"

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