17.1.13

Lettera mai spedita, forse mai scritta, non è ben chiaro a chi


La penna se ne sta per qualche secondo sospesa a due millimetri dal foglio, indecisa. Scrivo e poi cancello. Errore nella gestione delle righe.
Strappo, accartoccio, nuova pagina, riscrivo.
Ora va meglio, il pensiero/inchiostro scorre più fluido, lettere si rincorrono e parole mangiano il bianco del foglio. Qui volevo mettere un aggettivo, ma non mi viene. A due passi da me una coppia di cinesi consuma un pasto a cui non so dare un nome.
E' l'1.17 del mattino.

Ciao, è un po' che non ci sentiamo.
Ho pensato a te a causa della foto che hai postato su facebook. Non molto romantico, me ne rendo conto, ma l'immagine l'ho apprezzata molto, volevo dirtelo. Se mi fosse avanzato qualche secondo di internet giuro che avrei messo un mi piace lì sotto, che magari ti faceva pure piacere e così anche tu ti ricordavi di me in questo modo poco romantico ma decisamente funzionale. Alzare pollici virtuali in fondo non è un modo ingombrate per far presente che ci sei. Cosa vuoi che importi se ciò avviene su un social network che è il medium incontrastato della futilità, il deposito per eccelenza delle cazzate del genere umano; non ho pretese di serietà io, credo quindi di trovarmi abbastanza bene a sguazzare lì dentro. Da bravo cazzaro mi confondo facile con lo sfondo.

E giuro che l'avrei messo quel malizioso mi piace, non fosse che proprio allora la scorta di internet di cui disponevo si è prosciugata. Tocca quindi ripiegare: carta sia. Carta sensuale e affidabile, che in effetti ha tutto il suo perché ed è utile anche a darsi un tono, che qualunque cosa scritta a mano risulta migliore, più profonda e vera, anche quando fondamentalmente è una minchiata. Illusione della carta. La carta porosa che assorbe i pensieri, la carta ruvida che fa lo scrub alle rughe dell'anima.
Vedi, è quando scrivo questo genere di frasi pompose e vuote che mi domando se la retorica sia parte necessaria dello stile o un semplice fardello, gingillo espressivo vetusto e inutile, oltre che decisamente poco fashion. Ho tonnellate di retorica sulla schiena sai, e giuro che potendo ne scaricherei un po', per scoprir se si schiarisce la vista, o se almeno si fan le spalle più leggere. E' questa meta-scrittura? E' filosofia? Frega un cazzo a qualcuno?
Non so. Forse sono solo gli ultimi sei drink che mi possiedono le sinapsi.

Che dire ora?
Ho iniziato questa lettera con qualche intento che ora non ricordo più, e pure la consequenzialità logica se ne sta andando discretamente a puttane. Ma ho dato ascolto a un lamento sgorgato da una bottiglia e me ne ritrovo ora posseduto, incapace di fermar il polso, vittima di questo spirito sotto spirito che come coi vampiri basta invitarlo a entrare, nel fondo della notte, per trovarsene sopraffatti.
Ecco, volevo scriver qualcosa a qualcuno, possibilmente a qualcuno la cui assenza soffrissi un po', ma mi sa che son partito un pelo confuso, non ho preso bene la mira, ed ecco che le righe di testo si fan lenza, filo d'Arianna pescatrice che invece che condurmi fuori mi trascina dentro il labirinto, lasciandomi poi solo, con le ginocchia sbucciate e lo sbattimento di rimediare l'uscita. Sarà che stanotte ho voglia di qualche demone da fronteggiare, bramo un'ora di malinconia part-time.
E' molto borghese, lo so, ma che vuoi farci, mi va.
Allora taglio e incollo pensieri a schegge, costruisco nostalgie prendendo in prestito spezzoni di un passato frammentato, componendo un collage d'assenze, creando il profilo artificiale della mancanza di un qualcosa, anche se non ricordo più bene cosa sia.
Qualcosa a cui scrivo lettere dandogli del tu, prendendo come spunto una foto su facebook che, a ripensarci bene, c'avevi anche un po' la faccia da culo.

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