4.11.11

Ecce Cameron.

L’altro giorno ho letto che il ministro britannico Cameron ha commissionato una Task Force di redigere un indice della felicità presso i suoi concittadini. Questo indice di felicità dovrebbe essere elaborato sulla base delle risposte dei cittadini a 10 domande afferenti alla qualità della vita, il costo dell’intera iniziativa è di 2 milioni di sterline; una sorta di censimento Istat dello spasso per adeguarmi un po’ alle facoltà cognitive del lettore medio di questo blog.

La prima cosa che ho pensato apprendendo la notizia è stata: se avessi una laurea in economia, un blog e fossi pieno di me ci farei un articolo spacciandolo per interessante… Sorpresa! Ho tutte le carte in regola! Che boria che mi contraddistingue! Ora la smetto di incensarmi/presentarmi e vengo al dunque.

Questo fatto è rilevante, o tuttalpiù interessante, per più motivi:

1. Come fa Cameron dopo aver vinto tutti quegli oscar per il film “Titanic” ad essere il primo ministro del Regno Unito?

2. Questa scelta è terribilmente in linea con principi economici e teorie illuminanti di autorevolissimi pensatori ( vedi Joseph Stiglitz e Amartya Sen), come se in Italia le cariche più importanti dello stato si facessero suggerire dagli intellettuali circa le loro quotidiane attività istituzionali: “Ehi Umberto Eco avevi ragione sulle thailandesi!”.

3. Quanto può essere veridico un indice sulla felicità? In un grafico che ometterò di pubblicare per ignoranza in merito ai diritti di autore risultava che alla domanda “quanto sei felice da 1 a 10” la nazione più gioiosa fosse la Nigeria, mentre un altro stato che ha preceduto la Gran Bretagna in quanto a FIL (acronimo che scimmiotta il PIL ma con la F di felicità, non l’ho inventato io, giuro!) è stato il Bhutan! Io stesso se mi chiedono come sto tendo sempre a rispondere “tuttobenegrazie”.

4. L’iniziativa è comunque lodevole a mio modesto parere perché se non altro avvia un discorso che sarà il filo conduttore del pensiero economico di questo secolo, un nuovo paradigma che ha alla base la teoria dello sviluppo sostenibile e non quello dello sviluppo a tutti i costi del PIL; sì lo so, sono fumoso, è che questi argomenti richiedono una certa capacità di semplificare senza banalizzare di cui a quanto pare sono sprovvisto. Il PIL nazionale si basa su quanto lo stato ha prodotto/venduto per cui non tiene minimamente conto ne dell’occupazione ne dell’allocazione del reddito: per uno stronzo che nel 2011 si compra una barca nuova da un milione avremo una crescita del PIL di un milione (non mi sto riferendo a D’Alema) e non credo che un cassaintegrato ne possa gioire più di tanto!





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